Cure domiciliari in calo durante la pandemia. Assistiti a casa 385mila cronici over-65, ne mancano all’appello almeno 1 milione

 

Il Presidente Bernabei: “Le cure domiciliari sono la risposta alla fragilità e multimorbilità dell’anziano moderno e il PNRR rappresenta l’occasione da non sprecare per costruire l’assistenza territoriale del futuro. È tempo di uniformare il sistema ispirandosi ai migliori standard e di mettere in campo il migliore management, la più moderna tecnologia e la più solidale collaborazione che l’Italia è in grado di dare”

 

Roma, 23 novembre 2021 – L’emergenza sanitaria ha mandato in tilt la rete dei servizi territoriali e le cure domiciliari non hanno fatto eccezione, subendo una battuta d’arresto dopo un trend di crescita positivo registrato nel quinquennio pre-Covid. A farne le spese sono coloro che più di altri necessitano di cure domiciliari: gli anziani fragili, che hanno bisogno di cure e monitoraggio continui a causa della presenza di patologie croniche concomitanti, la cosiddetta multimorbidità, specie se accompagnata da disabilità, non autosufficienza ed esclusione sociale.

 

Se tra il 2014 e il 2019 gli over-65 assistiti a domicilio sono passati da poco più di 250mila a oltre 390mila (in media un aumento di 25mila unità all’anno), pari al 2,83% dei quasi 14 milioni di anziani residenti in Italia1, nel 2020 questo trend ha cominciato a decrescere, attestandosi a poco più di 385mila unità, ovvero il 2,7% degli over-65 e il 4,5% degli over-75, con Regioni in grado di garantire cure domiciliari a più del 3,5% degli anziani e altre che stentano a raggiungere tassi di copertura dell’1%. Complessivamente, siamo a meno di un terzo da quel 10% fissato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per adeguarci, entro il 2026, alle buone prassi europee, che vedono punte fino al 13% in Germania (percentuale che arriva al 29% per gli ultra-ottantenni), e i Paesi del Nord Europa dove addirittura 1 over-80 su 3 è assistito in ADI. Non va meglio per le cure residenziali (RSA), che garantiscono la continuità della presa in carico dei pazienti non autosufficienti, di cui beneficiano poco più di 2 anziani su 100.

 

A scattare questa fotografia è l’indagine Long-term care in Italia: verso una rinascita?, curata per Italia Longeva da Davide Vetrano, ricercatore al Karolinska Institutet di Stoccolma, in collaborazione con la Direzione Generale della Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute. La ricerca è stata presentata oggi nel corso della sesta edizione degli Stati Generali dell’assistenza a lungo termine – “Long-Term Care SIX”, l’appuntamento annuale di Italia Longeva che riunisce tutti gli attori che, ai vari livelli, si occupano di programmare e gestire l’assistenza agli anziani.

 

“Gli anziani fragili sono doppiamente vittime della pandemia, che ha fermato anche quella timida ma in risalita tendenza che vedeva la long-term care del nostro Paese in progressiva espansione, sebbene lontana dal soddisfare i reali bisogni di assistenza della popolazione anziana, e con notevoli divari regionali – afferma Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva. Oggi abbiamo l’occasione per dare una spinta a quel processo di modernizzazione dell’assistenza territoriale atteso da tempo, ma la disponibilità di risorse da sola non basta per gestire in maniera efficace la multimorbidità dell’anziano moderno e il passaggio dalla fragilità alla disabilità. È tempo di uniformare il sistema ispirandosi ai migliori standard di valutazione del bisogno per permettere il migliore management clinico assistito dalla più moderna tecnologia”.

 

Accanto ai due pilastri della long-term care, ADI e RSA, il PNRR prevede l’introduzione delle Case di Comunità, collegate a presidi periferici secondo il modello Hub & Spoke, e degli Ospedali di Comunità quali presidi intermedi tra l’assistenza a domicilio e quella in ospedale. Per realizzare un sistema di cure facilmente accessibile ed evitare che il paziente ‘si perda’ durante i molteplici contatti con i diversi snodi della rete territoriale, sarà necessario snellire i processi e renderli più efficienti, e integrare gli interventi sociosanitari in risposta ai bisogni sociali, oltre che clinici, dell’anziano fragile.

 

“Definire con esattezza chi fa cosa, come lo fa e con quali strumenti – continua il Prof. Bernabei sarà il banco di prova per la costruzione della long-term care del terzo millennio, in risposta ai bisogni di salute di una popolazione sempre più anziana, e al passo con le innovazioni tecnologiche, dalla telemedicina ai dispositivi wearable per il monitoraggio dei parametri vitali del paziente, che consentono di gestire quotidianamente a distanza, in modo efficace e tempestivo, e con costi contenuti, il percorso di cura di un gran numero di anziani. Qualsiasi dotazione di risorse rischia di rivelarsi un’occasione persa se si pensa di riorganizzare la medicina del territorio senza dotarla di queste tecnologie e senza investire sulla formazione del personale coinvolto”.

 

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1 ISTAT, Le condizioni di salute della popolazione anziana in Italia, anno 2019. Pubblicato il 14/07/21

 

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Ufficio stampa Value Relations

Angela Del Giudice

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